Luigi Capuana drammaturgo

Luigi Capuana, oltre a essere stato critico, novelliere, scrittore per l’infanzia, romanziere è stato anche drammaturgo. La passione per il teatro ha inizio fin dall’età della fanciullezza, con la partecipazione agli spettacoli folkloristici di paese:

«In quel tempo fui scelto a fare da Bambino Gesù in una specie di Mistero, che allora si recitava in Mineo il primo maggio d’ogni anno, e che riusciva un gran divertimento per i ragazzi che agivano nella rappresentazione.»

Nel 1861 vide la luce la sua leggenda drammatica intitolata Garibaldi, che narrava le gesta dell’eroe nel periodo delle lotte per l’unificazione italiana.

L’esordio vero e proprio di Capuana drammaturgo si ha con la riduzione teatrale in atto unico della novella Il piccolo archivio. Ma la prima vera opera teatrale è legata a uno dei personaggi femminili più importanti della letteratura italiana, Giacinta.
La trasposizione teatrale di Giacinta ebbe la stessa contrastata accoglienza del pubblico e della critica, così come per l’omonimo romanzo.
La produzione teatrale di Luigi Capuana si può dividere in due filoni, quello borghese di ambientazione cittadina e quello popolare di ambientazione paesana.
La differenza tra i due filoni non è data solo dall’ambientazione e dal trattamento dei temi, ma anche dall’uso della lingua che va a incastonarsi nel dibattito mai esaurito del Teatro nazionale.

L’opera teatrale più rappresentativa della produzione capuaniana è senza dubbio Malia che oltre a essere una delle meglio riuscite, funge da elemento chiarificatore riguardante la portata del teatro in lingua e del teatro in dialetto.

Malia nasce come opera in lingua nel 1881, solo nel 1895 si avrà la riduzione in dialetto. La motivazione di questo cambiamento, probabilmente, è stata di tipo pratico. Le opere in lingua di Capuana non ebbero una benevole accoglienza, per tanto, potendo contare su attori di talento come Musco e Grasso, Capuana colse l’occasione di riscatto utilizzando il dialetto anche contro i suoi stessi principi dell’esordio e il giudizio dell’amico Verga.

La sua, felice, scelta non fu solo un atto di convenienza:

«[…] l’unica essenziale ragione, per cui io proclamo la necessità dei teatri regionali, consiste in un supremo principio d’arte e di patriottismo, quello cioè di portare sul palcoscenico creature nostre, non fantasmi riflessi di creazioni straniere; creature che dimostrano quel che noi abbiamo di assolutamente proprio, non quello che, per gli effetti del contatto con altri popoli, possiamo già avere di comune con essi. […] Esistono tra noi differenze regionali caratteristiche e […] il presentarle nell’opera teatrale con la sincerità, l’evidenza, la vita richiesta da una vera opera d’arte, può avviarci verso la sospiratissima meta del teatro nazionale.»

Quindi, con il dialetto Capuana ridefinisce l’ideologia unitaria del teatro nazionale.

A proposito del teatro dialettale Capuana affermava:

«[…] c’è qualcosa di nuovo, di originale, da cavare dal fondo ancora poco esplorato della vita regionale italiana, anche senza ricorrere al valido aiuto della forma dialettale, strumento artistico d’incomparabile efficacia, non potrà negarlo nessuno.»

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