Chi è Luigi Capuana?

Nato a Mineo (Catania) il 28 maggio 1839, primogenito di Gaetano, agiato possidente terriero, e Dorotea Ragusa. La sua istruzione inizialmente affidata ai gesuiti con i corsi di grammatica presso la scuola comunale di Mineo, continuò, dal 1851 fino al 1855, presso il Real collegio borbonico di Bronte.

In questi anni, sotto la guida di padre Gesualdo De Luca, iniziò la lettura dei classici italiani, da Dante e Ariosto a Manzoni e Guerrazzi. Sarà la lettura della Battaglia di Benevento di quest’ultimo a incidere profondamente, parimenti ai ricordi degli anni 1848-49 e della repressione in Sicilia guidata dal principe di Satriano, nella genesi del sentimento patriottico e unitario del Capuana.

Nel 1857, per volontà dello zio Antonio, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza del Siculorum Gymnasium di Catania, non manifestando grande passione per gli studi, coltivando di converso le amicizie col poeta Giuseppe Macherione e con Emanuele Navarro della Miraglia e dedicandosi a una intensa ma disordinata produzione drammatica, della quale restano soltanto i titoli e qualche frammento. 

Entrato in amicizia con l’erudito Lionardo Vigo, collabora all’edizione della Raccolta amplissima dei canti popolari siciliani che questi stava preparando.

Nel 1860, abbandonata l’università, prese parte all’impresa garibaldina come segretario del comitato  clandestino insurrezionale di Mineo. Sempre più cosciente dei limiti che l’ambito paesano rappresentava alla sua formazione e alla sua vocazione letteraria, maturò l’idea di recarsi a Firenze, prossima capitale, e fervido centro di vita intellettuale.

Il primo viaggio. Il soggiorno a Firenze

Nella primavera del 1864, grazie a un sotterfugio supera le resistenze della famiglia, e si reca in Toscana, dove rimase per quattro anni.
A Firenze prese attiva parte alla vita culturale della città, frequentando il caffé Michelangelo (ove conobbe i macchiaioli, instaurando rapporti di amicizia con T. Signorini e V. Boldini), i salotti del Dall’Ongaro e dei Pozzolini, dove incontrò tra gli altri, A. Aleardi, G. Prati, C. Levi e, nel maggio giugno dell’anno 1865, il conterraneo Giovanni Verga.

Nel 1865 iniziò l’attività di pubblicista con alcuni saggi critici sulla Rivista italica, e l’anno successivo divenne critico drammatico del quotidiano La Nazione e «terrorizzò – scrive P. Vetro – gli autori drammatici con i suoi giudizi di un rigore eccezionale, e si fece in tal modo molti avversari letterari».

Nell’ottobre 1867 comparve sulla Nazione la sua prima prova narrativa, la novella Il dottor Cymbalus derivata per sua stessa ammissione dal racconto La boîte d’argent di Dumas figlio, con la quale inaugurava il filone fantastico e fantascientifico di una ricchissima produzione di novelle.

Il ritorno a casa e l'incarico di Sindaco

All’inizio del 1868 per motivi di salute ritornò a Mineo, dove rimase per sette anni causa la sopravvenuta morte del padre e le conseguenti difficoltà economiche della famiglia. Nel 1870 era ispettore scolastico municipale e consigliere comunale, e fu anche sindaco (il “Depretis di Mineo”, lo definirà ironicamente il Verga).

Di questa attività politica e amministrativa rimangono due interessanti documenti: Il bucato in famiglia, discorso pronunciato il 24 novembre per la solenne premiazione delle scuole elementari maschili e femminili di Mineo (1870), e Il comune di Mineo. Relazione del sindaco (1875).

Durante la “sindacatura” numerose e disparate furono le sue occupazioni: fotografia, incisione, disegno, ceramica, ma anche editore nel 1871 delle poesie in dialetto del concittadino Paolo Maura.

Progettò saggi letterari, novelle e romanzi; e approfondì la conoscenza delle opere di Hegel e di F. De Sanctis, dal quale derivò il principio che la forma è il fondamento dell’opera d’arte.

Questa attività confluirà nella raccolta Il teatro italiano contemporaneo. Saggi (Palermo 1872).

L'ispida vita privata

Nel 1875 iniziò una relazione con una ragazza entrata come domestica in casa Capuana, Giuseppina Sansone (conosciuta da allora a Mineo come la “Beppa di don Lisi”), che si protrarrà fino al 1892, quando la donna si sposò per volontà del Capuana: dalla relazione nacquero alcuni figli affidati all’ospizio dei trovatelli di Caltagirone.

Tra Roma, Mineo e Milano

Dopo un breve soggiorno a Roma alla fine del 1875, durante il quale definì le linee del romanzo Giacinta, ritornò a Mineo occupandosi dell’edizione del suo primo volume di novelle, Profili di donne (1877).

Nel 1877, in seguito anche alle continue sollecitazioni del Verga, si recò a Milano, dove ottenne l’incarico di critico letterario e drammatico del Corriere della Sera e, iniziò la stesura di Giacinta, destinato ad assumere il valore programmatico di manifesto del verismo italiano (1879). Aveva così inizio il periodo più proficuo della sua attività: pubblicava anche una nuova edizione delle poesie del Maura (1879), e le due serie degli Studi sulla letteratura contemporanea (rispettivamente 1880 e 1882).

Fa ritorno a Mineo alla fine del 1880. L’anno successivo conosce il giovane Federico De Roberto, direttore a Catania del Don Chisciotte, pubblica la raccolta di novelle Un bacio (1881), inizia (ma col diverso titolo Il marchese di Santaverdina) il romanzo destinato a divenire il suo capolavoro che pubblicherà a distanza di vent’anni, e si impegna nella appassionata difesa de I Malavoglia del Verga.

La stagione delle fiabe

Nel 1882 C’era una volta inaugura quella intensa attività di autore di libri per l’infanzia e la gioventù, proseguita poi con Il raccontafiabe (1894), nella quale grazie alla prevalenza dell’elemento fantastico si dà l’avvio ad una letteratura per l’infanzia libera dalle pesanti ipoteche di antica tradizione pedagogica.

Nelle raccolte più tarde, come Chi vuol fiabe, chi vuole? (1908), si registra un progressivo esaurimento dell’invenzione fantastica al quale corrisponde la tendenza a concludere le vicende narrate con ammaestramenti morali, quando non addirittura, come nel caso del “romanzo fiabesco” Re Bracalone (1905), con espliciti intenti di propaganda etico-politica in chiave moderata e conservatrice.

 

Accanto alle raccolte di fiabe va registrata una copiosissima letteratura per l’infanzia, tra i quali spiccano Scurpiddu (1898) e Cardello (1907), due racconti ricchi di spunti autobiografici nei quali la sapiente alternanza di registri realistici nella descrizione della vita siciliana e di toni nostalgici nella rievocazione del mondo incantato dell’infanzia e dell’adolescenza raggiunge letterariamente, non di rado, i livelli più alti dell’intera sua produzione.

La saggistica, la poesia e lo spiritismo

Trasferitosi a Roma, dove conobbe G. D’Annunzio ed E. Scarfoglio, assunse la direzione del Fanfulla della Domenica, nel quale, oltre ai saggi poi raccolti nel volume Per l’arte (1885), compariranno i Semiritmi come traduzioni da un immaginario poeta danese, che meritano di essere ricordati come primo tentativo in Italia di elaborazione del verso libero.

 

Nel luglio del 1883 torna in Sicilia per motivi di salute. Dal 1884 all’88 visse a Mineo e nel 1885 fu nuovamente sindaco. Pubblicò il saggio Spiritismo? (1884), le Parodie (1884) del Giobbe e del Lucifero del Rapisardi, la raccolta di novelle Ribrezzo (1885), l’atto unico Il piccolo archivio.

La fortuna dell'ultimo soggiorno romano

Ritorna a Roma nel luglio 1888, dove si trattenne tredici anni, e nel 1890 venne nominato docente di letteratura italiana all’istituto superiore femminile di magistero. In questo lungo periodo romano la produzione letteraria del Capuana non conobbe soste, incalzato da una difficile situazione economica, dovuta principalmente all’incapacità di amministrare il proprio patrimonio. Pubblicò, tra l’altro, nove raccolte di novelle (di cui più importanti Le Appassionate e Le Paesane); i tre romanzi Profumo (in dieci puntate sulla Nuova Antologia dal 1º luglio al 1º dic. 1890, e in volume a Palermo nel 1892), La sfinge (in quattro puntate sempre sulla Nuova Antologia dal 1º settembre al 16 ott. 1895, e in volume nel 1897) e Il marchese di Roccaverdina (in appendice al quotidiano L’Ora di Palermo in ventidue puntate dal 12 settembre all’11 novembre 1900 e poi in volume nel 1901); le tre raccolte di saggi Libri e teatro (1892), Gli “ismi” contemporanei (1898), Cronache letterarie (1899); oltre a fiabe, scritti di attualità dedicati alla Sicilia, commedie.

A Roma Capuana conobbe nel 1890 Pirandello (alcuni anni dopo suo collega d’insegnamento al magistero), il quale, ricordandolo in seguito con gratitudine di discepolo, attribuirà al suo incoraggiamento la scoperta della sua vocazione di narratore; incontrò Emile Zola. Dal 1895 si era unito alla venticinquenne Adelaide Bernardini, conosciuta in circostanze romanzesche, dopo un tentato suicidio di lei. La loro unione sarà definitivamente sancita con il matrimonio del 23 aprile 1908, testimone il Verga.

Il periodo catanese

A Catania, ove si era trasferito fino dal 1902 come docente di lessicografia e stilistica nella locale università, l’attività di critico del Capuana si ridusse drasticamente: La scienza della letteratura, prolusione al corso letta alla università di Catania (1902), e Le lettere all’assente (1904). All’opposto, causa anche le difficoltà economiche, molto ricca e varia fu ancora la produzione di novelle, di fiabe e di racconti per ragazzi, e intensa la trasposizione e rielaborazione in commedie in dialetto di spunti e motivi di novelle “paesane”, raccolti nei volumi del Teatro dialettale siciliano (I-II, 1911; III, 1912; IV, 1920; V, 1921), e che celebri attori siciliani, come G. Grasso e A. Musco, interpretarono con successo (Lu cavaleri Pidagna e Lu paraninfu).

 

Il 29 gennaio 1910 si celebrò solennemente in Catania il giubileo letterario del Capuana settantenne, cui arrideva ormai una discreta fama europea. Nell’autunno dello stesso anno il Capuana, che aveva manifestato simpatia per il futurismo («Se avessi cinquanta anni di meno – aveva ammesso nel 1910 – io mi dichiarerei futurista»), difese brillantemente in tribunale F. T. Marinetti processato per oltraggio al pudore in seguito alla pubblicazione di Mafarka. Collocato a riposo nel 1914, al compimento del settantacinquesimo anno (nonostante le proposte della stampa e una interrogazione parlamentare per sollecitare un trattamento eccezionale), tenne nel maggio l’ultima lezione all’università.

Morì il 29 novembre 1915 a Catania e fu sepolto a Mineo.

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