Capitoli Capuana fotografo

Luigi Capuana fotografo

La vulgata in auge vede in Capuana il romanziere, il novelliere, il drammaturgo, lo scrittore per ragazzi, il critico teatrale, il saggista, il teorico, insomma una figura poliedrica e versatile, ma ciononostante afferente quasi esclusivamente al campo letterario. E la fotografia?

Testimonianza di questo stereotipo è il netto divario quali-quantitativo tra la produzione saggistica riservata allo scrittore e quella dedicata al fotografo, a fronte di innumerevoli pubblicazioni, anche  a  carattere monografiche, sul versante letterario fa riscontro solo un numero estremamente esiguo, dei quali nessuno a carattere monografico, relativo al lato fotografico.

Da quanto detto sopra emerge che Capuana è noto al grande pubblico per la sua produzione letteraria più che per quella fotografica. In questo ambito resta relegato nella cerchia della critica di settore e tra i suoi cultori-studiosi, anche se non tutti in verità.

Eppure Capuana, rammaricandosi, in una lettera al Verga esterna di non possedere qualità di scrittore allo stesso livello di quelle di fotografo: «[…] se io fossi romanziere come sono fotografo».

Dalla sua prospettiva, oggi, direbbe che gli è toccata in dote una strana sorte, quasi a mo’ di contrappasso alle sue aspirazioni o ai suoi segreti sogni di immortalità, il suo nome resta indissolubilmente legato alla storia letteraria del nostro paese.

Convinti che al di là del Capuana scrittore esista un Capuana fotografo di indubbie qualità, l’obiettivo è quello di far conoscere questo secondo aspetto del nostro per valutare la figura nella sua unitarietà piuttosto che nelle sue singole manifestazioni intellettuali.

Il Capuana scrittore può essere scisso dal Capuana fotografo? oppure vanno irrimediabilmente visti in un’ottica unitaria di relazione inscindibile di letteratura e fotografia, e viceversa?

Da Baudelaire a Zola, da Balzac a Mann, dai futuristi a Bréton, da Benjamin a Sontag, da Sciascia a Bufalino, la scrittura letteraria non ha mai cessato di relazionarsi al fotografico: ora imitandolo ora disprezzandolo, ora appropriandosene ora marcando la sua diversità.

La produzione fotografica del Capuana copre un arco cronologico che ha come estremi il 1863, nascita dell’interesse per l’arte fotografica, stimolo quasi certamente materializzatosi durante il soggiorno a Firenze, città degli Alinari, dei Brogi, che diverrà la sede della Società Fotografica Italiana, e il 1915, la fatidica data della sua scomparsa, con una tappa evolutiva di grande importanza il 1880 per la realizzazione del suo “Grande Atelier fotografico”.

Il nostro fu in continuo contatto con la ristretta ed elitaria cerchia dei dilettanti colti – Primoli, Michetti, Signorini, etc. – che contribuirono non poco allo sviluppo della nuova arte in Italia.

Le tecniche e la tipologia di produzione

Oltre alla figura di Capuana fotografo, vanno evidenziate le tecniche e la tipologia di produzione, il suo ruolo all’interno della cosiddetta “Triade” catanese,  la sperimentazione e il rapporto tra letteratura e fotografia.

Nel caso di Capuana va evidenziato come l’approccio al mezzo fotografico non possa rientrare nel ristretto ambito del dilettantismo, né si possa ascrivere alla categoria dell’approccio ingenuo e non intenzionale privo di perizia tecnica, perché dietro l’obiettivo, oltre alle conoscenze di cui si diceva appena sopra, c’è la Weltanschauung di un intellettuale investita per inquadrare il mondo che lo circonda.

La sua perizia tecnica e la personalità eclettica gli permettevano di riflettere sulle qualità del mezzo fotografico, di scoprirne i limiti e le potenzialità: la fotografia era per lui uno strumento di indagine della realtà.

Capuana, contrariamente al Verga, seguiva tutti i procedimenti di elaborazione dell’immagine dal momento iniziale di preparazione dello scatto come la scelta del soggetto, dell’illuminazione e dell’angolo di ripresa fino al momento della stampa in direzione di una fotografia artistica sperimentale.

Capuana, Verga e De Roberto anche nel segno della fotografia

Capuana, Verga e De Roberto, legati nella vita oltre che dai rapporti connessi alla loro attività letteraria e dalla fraterna amicizia, da ideali e ideologie, sono stati accomunati anche dall’uso di questo nuovo linguaggio per immagini. A Luigi Capuana, quasi certamente, spetta il ruolo di iniziatore del terzetto, essendone stato il primo ispiratore, stimolato forse dalla grande attenzione che riversava per le più disparate manifestazioni artistiche.

Nel caso di Capuana fotografo, ci poniamo l’interrogativo se siamo di fronte a uno scrittore che per “gioco”, per “diletto” si accosta alla fotografia come surrogato della letteratura oppure a un “amateur”, come lo ha definito Michele Di Dio, ovvero un fotografo maturo, curioso sperimentatore, con ottima padronanza della sintassi che il mezzo stesso richiedeva, capace di mettere in pratica le sue conoscenze di ottica, divenendo perfino costruttore delle sue fotocamere.

 

La sua perizia tecnica e la personalità eclettica gli permettevano di riflettere sulle qualità del mezzo fotografico, di scoprirne i limiti e le potenzialità: la fotografia era per lui uno strumento di indagine della realtà.

In Capuana la foto diviene lo spunto per un’opera letteraria o un passaggio di essa o di un suo personaggio, e viceversa se si estrapolano dalle sue opere alcune descrizioni sembrano esser tradotte in immagine da alcune fotografie.

Luigi Capuana e la sua coscienza critica visuale

Riprendendo un’affermazione di Italo Calvino in Capuana:
«Possiamo distinguere due tipi di processi immaginativi: quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva e quello che parte dall’immagine visiva e arriva all’espressione verbale.»

L’indagine sulla produzione del Capuana evidenzia tre aspetti fondamentali: una riflessione critica sulla fotografia dalla prospettiva della scrittura letteraria; il tentativo di integrare la fotografia nella finzione; il superamento del concetto di illustrazione in nome di una consonanza più profonda fra parola e immagine.

In questa direzione l’itinerario letterario (risultato di un processo di interrelazione tra fotografia e letteratura) aiuta a superare la visione predominante che vuole un Capuana scrittore e un Capuana fotografo, per privilegiare, al contrario, la figura di un intellettuale cosciente e padrone di entrambe le arti.

Luigi Capuana e l'arte del ritratto fotografico

Il riferimento per questo segmento della produzione fotografica del Capuana non può non essere il magnifico saggio di Edwige Comoy Fusaro, Il processo creativo in Capuana scrittore e fotografo, e da esso prendiamo a piene mani.

La pratica della fotografia da parte di Capuana era di tipo artistico perché egli dedicava grande impegno nelle fasi successive allo scatto della molletta, nel ritocco e la “sofisticata stampa al carbone o su lamina” (Sorbello 2008: 20) (mentre Verga si concentrava maggiormente sulle qualità istantanee della fotografia). Un’osservazione attenta di un campione di fotografie particolarmente riuscite consente inoltre di affermare che la sua cura riguardava anche molto le fasi preparatorie dello scatto.

 

Fare una fotografia impone di scegliere il soggetto, la sua posizione e la sua occupazione dello spazio disponibile nel rettangolo dell’immagine, e varie altre scelte che riguardano l’inquadratura, la messinscena, le luci, la composizione. Lungi dall’essere impersonale, l’immagine fotografica è un prodotto autoriale.

Alcune fotografie capuaniane presentano una composizione ricercata di struggente modernità.  È il caso del ritratto della sorella Teresina.

L’insieme è minimalista ed essenziale. Sullo sfondo monocromo e nudo si stacca la figura leggermente decentrata, come colta in un movimento di rotazione: un’impressione suggerita dalla posizione storta del corpo e dagli occhi, rivolti fuori campo – come spesso nei  ritratti capuaniani, specialmente femminili –. Le tinte molto scure dei capelli, delle sopracciglia e del vestito creano un vivo contrasto con lo sfondo e la pelle chiara del viso e delle mani. Le mani sono appoggiate allo schienale della sedia e la fanno da padrone in primo piano, contendendo al viso il suo protagonismo: trovata compositiva rara nelle fotografie dell’epoca. Il viso infine esprime serietà e pacatezza. La semplicità, la nudità e insieme l’originalità della posa e della composizione risultano oltremodo efficaci.

Eccelsa qualità è raggiunta nel ritratto in piano ravvicinato di Luigi Pirandello giovane.

La fotografia è molto famosa ed è stata scelta per l’illustrazione del primo volume delle Novelle per un anno nei prestigiosi Meridiani. La luce viene dall’alto a destra e il giovane Pirandello ha il capo leggermente reclinato in direzione opposta, dimodoché, anche in questo scatto, il rapporto tra luce e ombra risulta molto equilibrato e dinamico nello stesso tempo. Il giovane scrittore tiene gli occhi abbassati e appoggia la testa sul pugno della mano destra.

La posizione del corpo accompagna così la diagonale creata dall’opposizione fra la parte più luminosa, in alto a destra, e quella più scura, occupata dalla giacca nera e dall’ombra che il viso vi proietta. La luce fa risaltare il triangolo della parte laterale della fronte, dove nasce la scriminatura dei capelli, mentre crea un’ombra di preoccupazione sotto i bernoccoli in mezzo alla larga fronte e immerge la parte destra e la parte inferiore del viso nell’oscurità.

Quel che Paul Léon osserva a proposito del celeberrimo ritratto di Rimbaud da parte di Carjat è valido per questo ritratto di Pirandello da parte di Capuana: «basta che resti una sola immagine […] e il mito è salvo» (« qu’il reste une image, une seule […], et le mythe est sauvé ») (Léon 2008: 116). L’immagine singolarizzata, che occulta le altre perché consensualmente ritenuta artistica, ha soprattutto una portata mitica, capace cioè di esprimere molto più di quanto rappresentato e di incarnare sentimenti universali. Allora se il Rimbaud di Carjat è la giovinezza ribelle e fragile, il Pirandello di Capuana è la malinconia tormentata e rassegnata dell’intellettuale o, per dirla con Sciascia, «inquietudini, smarrimenti, rifrazioni, scomposizioni e dissolvimenti dell’identità» (Sciascia 1982: 8).

 

La fotografia è un’attività artistica, non di semplice registrazione di uno spaccato di realtà, in cui Capuana l’impronta autoriale deriva dalle scelte plastiche del fotografo (inquadratura, luci, composizione) capaci di suscitare emozioni nel destinatario.

A questo fondamentale risultato vanno aggiunti altri due dati che rassodano la tesi della fotografia capuaniana come pratica artistica: anzitutto, mentre Baudelaire riteneva che la fotografia non potesse penetrare sul terreno «dell’impalpabile e dell’immaginario» (Baudelaire 1859: 13), che era quello dell’arte, Capuana riteneva che fosse invece un ottimo strumento per rivelare quel mondo occulto nascosto dietro il nostro mondo noto e naturale; in secondo luogo, nella concezione di Capuana, l’atto creativo era compiuto in stato allucinatorio.

Luigi Capuana e l'autoritratto fotografico

La fotografia, ovvero  il primo “specchio dotato di memoria”.
Se la passione per la foto aveva portato Capuana a fotografare tantissimi intellettuali coevi non poteva lasciarlo immune dalla tentazione dell’autoritratto.

Infatti sono numerosi e interessanti quelli che si conservano presso la Casa-Museo.  Ne conosciamo di tutti i tipi: di fronte, di pro­filo, con cappello o senza, con o senza barba.

Le relative stampe sono a volte normali di labora­torio e, altre volte, evidente è in esse il ricorso a tecniche speciali (stampe di tipo al “carbone”, su carta “me­tallotipica”, con aloni sfumati, con mascherine ovali, geometriche, degradanti e via dicendo. Dietro ai car­toncini delle foto, inoltre, non mancano varie annotazioni tecniche quali carta vecchia, metallotipica ed altre.

I suoi autoritratti Capuana li distribuisce sempre con piacere e diversi cenni se ne trovano nelle lettere che scrive agli amici.

Una certa dose di umorismo, tra l’altro, lo scrittore di Mineo la dimostra in fase di ripresa quando, per fare uno scherzo, all’età di 48 anni, si fotografa su una poltrona, fingendosi, ambiguamente, addormentato. Ne stampa alcune cartoline e le manda agli amici. Fra le tante risposte che riceve, una è di Gabriele D’Annun­zio, ed è scritta in rime:
«Esulta amico forte
e non ti disperar
L’aspetto tuo di morte
par vita secolar»

A una fotografia analoga, ed ancora una volta un falso, eseguita qualche anno più tardi, e questa volta proprio su un vero letto di morte con tanto di velluto nero e fregi dorati, fa riferimento De Roberto pubblicandola, dopo la morte dell’amico, in un articolo commemorativo sul supplemento illustrato de La Tribuna, la rivi­sta Noi e il Mondo.  Il titolo del saggio giornalistico, pubblicato nel gennaio 1916, è: «Luigi Capuana nei cimeli fotografici di De Roberto». Il testo è corredato da una quindicina di fotografie realizzate proprio da Capuana, delle quali quattro sono autoritratti, tutte didascalizzate e firmate.

Luigi Capuana: fotografo paesaggista e documentarista

Le vie, le piazze, le feste tradizionali, gli abitanti, la vita, in definitiva, del paese di Mineo saranno per lo scrittore temi di lavoro validi per la fotografia così come per la letteratura. Sono fotografie, quelle del paese, che Capuana ricorda amorevolmente soprattutto quando si trova distante, e ne parla magari nelle lettere che scrive da Milano alla sorella Giuseppina.

Le vedute di Mineo, stampate in formato cartolina, Capuana ama pure inviarle ad amici e conoscenti. Non perde naturalmente occasione di chiedere giudizi ed opinioni sul suo lavoro di fotografo, o di tentare sempre di procurarsi nuovi soggetti da sottoporre alle sue inquadrature.

Nel settore della documentazione vera e propria invece, di una certa importanza risulta la serie di fotografie realizzate dallo scrittore, nel 1902, nell’allevamento di cavalli del barone Grimaldi a Niscima, anche queste accuratamente didascalizzate.

Luigi Capuana e la sperimentazione fotografica

Capuana amava cimentarsi nello sperimentare tutte le novità, e non poteva, quindi, non restare affascina­to anche dalla tecnica della stereoscopia. La notizia di questa invenzione era giunta in Italia verso il 1855, do­po le prime dimostrazioni in Inghilterra e in America. Le immagini stereoscopiche erano ottenute per mezzo di una macchina particolare, munita di due obiettivi appaiati, che forniva due negativi quasi identici dello stesso soggetto, seppur sfalsati in ripresa di pochi centimetri. Una distanza, questa, pari a quella che intercorre fra gli occhi. Osservando le due relative stampe attraverso un visore binoculare, la scena fotografica veniva restituita all’osservatore con aspetto perfettamente tridimensionale.

Nel periodo in cui era stato nominato sin­daco di Mineo, lo scrittore tentò anche di utilizzare questa tecnica per realizzare cartoline stereoscopiche del paese  per illustrarne qualche aspetto tradizionale, ad esempio le feste popolari.

In quel periodo Capuana usava conserva­re, nel libro mastro del Comune, fotografie da lui stesso eseguite o ritagli di stampe, un vero e proprio tentati­vo di documentazione della sua attività di primo cittadino. Sulla copertina dello stesso volume sembra avesse inserito uno dei suoi ritratti che, successivamente tuttavia, è andato perduto.

Sempre per quanto attiene al campo della sperimentazione, nell’articolo di De Roberto su Noi e il Mondo del 1916, si legge appunto dei tentativi dello scrittore di Mineo nella costruzione artigianale di una rudimentale macchina fotografica, o di un ingranditore per la stampa delle lastre negative.

«[…] Ed ora ditemelo sono un buon fotografo? Ma per avere le vostre lodi, aspetto che io possa farvi un paio di ri­tratti, colla mia piccola macchina che porterò con me a Milano […]»

Luigi Capuana: gli scrittori e gli intellettuali coevi

Capuana, naturalmente, oltre che con Verga e De Roberto, aveva rapporti con moltissimi altri scrittori di quel periodo, sia italiani che stranieri. E proprio con un francese, con il caposcuola dei naturalisti, Émile Zola, riuscì a tessere una buona amicizia che nacque come sodalizio letterario, ma che, nell’interesse che Zola e la moglie Alexandrine avevano per la fotografia, trovò presupposti di approfondimento.

Le relazioni con gli scrittori suoi contemporanei sono attestate da una serie di foto conservate presso la Casa Museo del nostro e tra le quali, oltre alle già citate di Zola, Verga e De Roberto, segnaliamo quelle di Pirandello, di Balzac, di Giuseppe Alfredo Cesareo e di E. De Amicis.

Stranamente, ma molto probabilmente per cause accidentali, non si annoverano foto di Gabriele D’Annunzio, del quale nel Fondo Capuana  si ritrovano autografi, testi con dedica autografa allo scrittore verista e una stampa illustrativa de Il Piacere con dedica e autografo.

All’insieme delle foto di scrittori vanno aggiunte quelle di letterati, quali Giuseppe Lipparini, di scrittori-editori, quali Mario Puccini, dell’editore Arnoldo Mondadori, di pittori, quali Domenico Morelli e di attori, quali Angelo Musco, che danno un’idea delle relazioni intellettuali instaurate dal Capuana.

Luigi Capuana: fotografia tra morte e spiritismo

Nel medesimo articolo su Noi e il Mondo De Roberto descrive pure un’altra «impresa fotografica» dello scrit­tore di Mineo, relativa ai suoi esordi come fotografo nel paese: Capuana, per espresso desiderio dei genitori, fa riesumare il corpicino di una bimba morta da alcuni giorni, per realizzarne un ritratto.

 La fotografia, pubblicata su Noi e il Mondo, è tuttora conservata in copia originale nel Fondo Capuana.

Se nel caso dell’autoritratto da finto morto si cela un quid di autoironia, nei casi delle foto della madre ritratta sul letto di morte e soprattutto della bimba riesumata ci troviamo di fronte ad un uso della foto consapevole, come memoria, come continuità opposta al nulla della morte.

La morte, l’occulto, il paranormale ossessionano dunque il Capuana. Un’analisi stilistica sulle fotografie di Capuana che ritrae la morte, anche esorcizzata attraverso la riesumazione, non può non prescindere dallo studio sagace e acutissimo di Francesco Faeta sui simboli e rituali della morte nella cultura popolare dell’Italia meridionale: «Questo, nell’ironia, nella sorpresa, nella fermezza, nella sfida, che di volta in volta lo caratterizzano, appare come strumento per restare nel mondo, per esserci, per vincere la morte. Sia quella definitiva e irreversibile, sia quella momentanea e reversibile – parziale, figurata, simbolica – costituita dalla fotografia. 

Tramite questa lo sguardo penetra nella vita dello spettatore, ribalta la condizione passiva dell’essere osservati, si afferma come parola, come segno esemplare della presenza. Guardare significa esistere, essere consape­voli, partecipare; concorrere alla creazione delle immagini, alla definizione del loro sta­tuto; usare dei propri occhi per non restare irretiti nell’inespressività, in un regime di silenzio visivo che anticipa e prefigura la morte». Le immagini esorcizzano la morte; costituiscono parte del lavoro culturale che consente di trasformare l’assenza in presenza simbolica, la morte in vita simbolica. (Le foto riportate sono state commissionate da Luigi Capuana al fotografo Semplicini di Firenze)

Se questa è la didascalia di una delle foto ed è firmata da Capuana, gli scatti sono da attribuire a Semplicini, come indica lo stesso Capuana in  Spiritismo. La ragazza è ritratta con un abito bianco, in due pose è in piedi e in altre due è seduta su una poltroncina.

Un altro esempio lo si può trovare in strane elaborazioni di camera oscura con le quali Capuana tentò forse di materializzare l’immagine di uno spirito.

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