Un terrazzo sul "mito"
La descrizione di ciò che si può amirare dal terrazzo di casa Capuana ci è fornita direttamente dal nostro nell’Atto di Convegno pubblicato nel 1893 da Zanichelli, dal Titolo La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea.
La veduta descritta da Luigi Capuana
«Ah! Finalmente, dopo sei anni, potevo di nuovo affacciarmi a un terrazzino di casa mia, e beare l’occhio e lo spirito guardando l’immenso paesaggio sottostante! Ecco la mitologica pianura dove Cecere era venuta a cercare la rapita Proserpina, col laghetto presso cui s’innalzava una volta la placabilis ara Palici cantata da Virgilio; ecco le colline, ora brulle, dove un tempo nereggiava il bosco sacro di Marte, rammentato da Diodoro; e, in fondo, a destra, l’Etna gigantesco, bianco di neve, con un sottile pennacchio di fumo, lieve indizio delle ribollenti materie fuse del fuoco delle profonde sue viscere, eterna minaccia e frequente pericolo dei paesetti e delle città che gli s’affollano intorno alla base, scura di foreste e di lava. Più in là, dirimpetto, le Madonie, le antiche Nebrodi, coperte di neve anch’esse, dietro un’enorme anfiteatro di colli e di colline che la trasparenza dell’aria, purificata da recente pioggia, rende più spiccato quasi ravvicinandolo all’occhio.»
«E laggiù laggiù, a sinistra, sul filo dell’orizzonte, le cupole, i campanili, il castello di Castrogiovanni, l’Enna delle guerre servili; e più sotto, Calascibetta, in cima a un colle tutto fiammeggiante di sole. Ma a poca distanza da me, davanti, attorno, case, chiese, campanili, viuzze, spianate, e le massicce torri del castello di Mineo, rovesciate dal terremoto del 1693 come un gioco di birilli. Non guardo più il lago dei Palici, ora detto Naftia, lago in continua ebollizione; non guardo più l’Etna né le Nebrodi, ma qualcosa di più caro, di più intimo: tutte quelle case e casette che dovrebbero dirmi tante vecchie cose, e mi sembrano restie a mettersi di nuovo in comunicazione con me. C’è qua e là un che, che mi resiste e non si lascia intendere. Che mai? Non so spiegarmelo.
E torno ad affacciarmi a tarda notte, col plenilunio che raggiunge quasi lo splendere del giorno, e che mi rifà sotto gli occhi le stesse ombre, le stesse chiazze di colore notate tante volte anni addietro…»